Paura e Cambiamento

Quando pensiamo al “cambiamento” frequentemente ci immaginiamo una “trasformazione”, qualcosa che accade e ci coinvolge in toto, senza nemmeno sapere come siamo arrivati allo stato attuale.

Se vi prestiamo attenzione, però, ci possiamo rendere conto che questo è stato possibile per e con una serie di fattori e contingenze esterne, con una quota variabile di disponibilità personale (motivazione). Insomma si è verificato un processo di cambiamento che ha implicato fasi distinte e tempo a realizzarsi.
Altra faccenda è rappresentata, ad esempio, dalla situazione in cui, improvvisamente, ci troviamo nella condizione di dover cambiare, subito.
Frequentemente ciò che accade è che proviamo paura. Noi esseri umani prediligiamo, su tutto, la sicurezza e niente è più sicuro e certo di ciò che
conosciamo, anche se non ci piace e non ci fa star bene. Questo atteggiamento, adattivo, ci consente, fin da neonati di ricercare e garantirci l’accudimento delle figure di riferimento (comunemente le madri).
E’ proprio la paura che riattiva il sistema di accudimento e, frequentemente (e se possibile), ci fa ricercare la vicinanza di qualcuno di significativo.
La vicinanza dell’altro, in età adulta, non è condizione sufficiente per far passare la paura e promuovere il cambiamento (condizione che, auspicabilmente, dovrebbe attuarsi nella relazione paziente-terapeuta) è necessario, infatti, che noi stessi ci adoperiamo per intraprendere un processo che, poi, ci potrà portare al cambiamento. Questo è possibile,
innanzitutto, se partiamo da ciò che abbiamo e non da ciò che avevamo, avremmo voluto o abbiamo perso. Valutando e pianificando piccoli passi (percorribili, nel senso di realizzabili) in modo tale che possiamo sperimentarci capaci di fare qualcosa di diverso, prima non contemplato perché le nuove esperienze, e le emozioni che ne derivano, cambiano le emozioni e i pensieri.
Sperimentarci efficaci, così come l’incoraggiamento dell’adulto al bambino, permette di andare avanti, con fiducia (in noi stessi) anche quando la strada è sconosciuta, impervia e piena di difficoltà.
Riconoscere e utilizzare i propri mezzi (qualunque essi siano), con la consapevolezza che un cammino è difficilmente programmabile in termini temporali, ma può esserlo per obiettivi; se, poi, la paura (o un’altra emozione) dovesse bloccarci allora potremmo permetterci di cercare l’aiuto dell’altro, superando il frequente tabù secondo cui la richiesta di aiuto, soprattutto in ambito psicologico, abbia a che fare con l’incapacità e la debolezza.

Ilaria Faraone
Psicologa, Psicoterapeuta

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